Gerace

Calabria

Una roccaforte greca alla “periferia” del Regno: Gerace, città dei vescovi.

Gerace sorge sull’amba rocciosa che si erge tra capo Spartivento e il promontorio di Roccella, a 480 metri sul livello del mare.

Le più recenti campagne di scavo condotte in questi territori hanno portato alla luce reperti d’epoca preistorica e tracce di insediamenti protostorici. Frequentata anche durante lo sviluppo della sottostante colonia greca di Locri, l’amba geracese diventò in età romana presidio militare.

La fondazione della città avvenne gradualmente, sul finire del VII secolo, quando gli abitanti di Locri antica, costretti ad abbandonare l’insicura e poco salubre zona costiera in cui si erano precedentemente insediati, si trasferirono sulla collina sovrastante. Il sito, che acquisì importanza sempre maggiore in età bizantina, assunse dapprima il nome di “Santa Ciriaca” (Hagìa Kyriaké), agionimo dal quale, secondo alcuni, sarebbe poi derivato il toponimo Gerace. Le opinioni sull’etimologia sono tuttora varie e discordanti: la più nota propone la derivazione dal greco hierax, rimandando alla leggenda dello sparviero che condusse a Gerace i locresi in fuga dalle incursioni saracene; la più verosimile, invece, ne individua l’origine da Iera Akis “vetta sacra”, in ragione del trasferimento della cattedra vescovile di Locri.

In età normanna si registrò a Gerace uno straordinario sviluppo edilizio e artistico, testimoniato dalla fondazione di nuove chiese, dal completo rifacimento della cattedrale e dall’operazione di restauro del castello.

Dichiarata città regia nel 1300 e intitolata contea nel 1348, Gerace continuò nel corso del XV secolo ad essere contesa tra potere monarchico e grandi casate feudali, assumendo un ruolo tutt’altro che secondario nelle dinamiche culturali e politiche e del Regno, benché collocata in una delle aree più distanti dalla capitale. Eletta a marchesato, restò nelle mani dei Cordova fino al 1558, godendo nel XVI secolo di una forte crescita economica e culturale.

La cultura a Gerace aveva conosciuto una precedente fase di sviluppo nel XIV secolo, sotto la spinta di Roberto d’Angiò e grazie all’impulso dato da alcuni vescovi di cultura greca come Giovannicio Tirseo, Barlaam da Seminara e Simone Atumano. La persistenza del monachesimo italo-greco avrebbe poi contribuito allo sviluppo di un umanesimo multiculturale che trovò il suo fulcro nella diocesi, affidata alle cure di dotti umanisti, come Atanasio Calceopulo, fautore del passaggio al rito latino. Successivamente, figure d’alto rango come Tiberio Muti, Andrea Candida, Ottaviano Pasqua, favorirono l’assimilazione dei dettami tridentini nella diocesi e assunsero un ruolo di primo piano nella storia urbana della città, grazie alla loro committenza artistica e architettonica.

 

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